Notizie sulla fonte
L’area di competenza del fonte battesimale del Duomo di Pisa comprendeva tutte le parrocchie cittadine all’interno e all’esterno delle mura oltre ad un certo numero di parrocchie rurali. Spesso però venivano battezzati in città anche i nati provenienti dalla Val d’Arno e dalla Val di Serchio. Pur dipendendo queste parrocchie da pievi rurali si trovavano abbastanza vicine alla città da indurre molti abitanti a far battezzare a Pisa i loro figli.
Gli elenchi battesimali sono costituiti da bacchette di carta rilegate in pergamena (vedi il registro) contraddistinte da lettere alfabetiche, già custodite presso la Chiesa di S. Ranieri a Pisa ed ora presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Pisa.
Alla compilazione degli elenchi provvedevano due preti battezzieri che ricevevano l’incarico ogni anno a partire dal 17 giugno, giorno di S. Ranieri patrono della città.
La trascrizione nelle “bacchette” dei nomi dei battezzati non era immediata: al momento del battesimo i cappellani dovevano limitarsi a registrare sotto forma di rapidi appunti i “dati anagrafici” forniti da coloro che accompagnavano i bambini al fonte. Solo in un secondo tempo questi dati venivano trasferiti nelle “bacchette”: lo dimostrano i numerosi errori cronologici nelle registrazioni o inversioni di nomi e loro storpiature, derivanti in molti casi dalla difficoltà di decifrare appunti presi frettolosamente e magari da altra mano rispetto a quella cui si deve la registrazione nelle “bacchette”.
Gli elenchi battesimali, comunque, non devono essere immaginati come veri e propri registri anagrafici: gli unici elementi costantemente annotati erano infatti il nome o i nomi del battezzato, la data del battesimo e la paternità, assente solo nel caso di figli illegittimi o di trovatelli; il nome della madre non appare mai, eccetto che nel caso di un figlio illegittimo, almeno fino al 1552 quando diventa, al contrario, un elemento costante. A questi dati si possono affiancare, ma non necessariamente ed a seconda dei casi, il nome del nonno e di altri avi, il cognome, il soprannome, la professione, la provenienza; si incontrano anche annotazioni come “trovatello”, “figlio di schiava”, “orfano”, oppure espressioni più colorite come “figlio di Dio”, “nato di ventura” e simili per indicare gli illegittimi, che, solitamente, sono però contraddistinti da uno spazio bianco – spesso punteggiato – nella posizione in cui avrebbe dovuto essere scritto il nome del padre. Dal maggio 1529 iniziano infine a comparire le prime indicazioni su padrini e madrine la cui presenza, dopo alcune interruzioni, diviene costante successivamente al 1542.
Non solo è molto raro che per ogni battezzato vengano date contemporaneamente tutte queste indicazioni, ma accade anche che in occasione della nascita di successivi figli di uno stesso padre vengono spesso forniti dati anagrafici diversi. L’uso del computer ha però consentito di poter cogliere queste connessioni e così integrare questi diversi dati, in modo da completare il quadro relativo ad uno stesso soggetto. I dati che sono stati inseriti a seguito di questi incroci sono identificati dal carattere minuscolo a fronte del maiuscolo usato per la trascrizione originale.